La valle dei transfert dispersi
Come tutti sanno, il concetto di transfert nasce colla psicoanalisi, ma interessa un insieme di fenomeni, che vanno molto oltre il puro e semplice ambito dell’incontro psicoanalitico.
Tradizionalmente, si intende per transfert appunto il trasferimento sulla figura del curante dell’immagine interiore di figure significative della storia del paziente.
Ma accanto a questo significato originario, se ne è andato sempre più aggiungendo un altro. Il transfert viene sempre più concepito come una potente mobilitazione di fantasie, energie, e pensieri messi in atto dall’incontro di una persona sofferente con un’altra, che si ritiene competente per alleviare e rendere più “umana” quella sofferenza.
Nel transfert, quindi, come diceva Freud e, come successivamente hanno ripreso con grande vigore altri, come Winnicott e Lacan, si mobilita un desiderio, una forza, una speranza, una spinta, una pulsione, insomma qualcosa che investe il curante e che attiva in entrambi i membri dell’incontro paure, speranze, desideri, sospetti, rabbia, erotizzazione. Ma, più di tutto, speranze e paure.
Sono attrezzati i servizi a ricevere questa mobilitazione di affetti e di idee? Io ho l’impressione che non sempre lo siano, per due motivi principali.
Il primo motivo concerne un’attitudine riduzionistica. In questo caso, il curante vive il transfert come un impulso vorace e avido, come un’ansia di impossessamento e mobilita difese dirette a limitare e circoscrivere quanto accade. Ma se è giusto cercare un contenimento possibile nella realtà dell’incontro, non è invece auspicabile che questo “contenimento” diventi una riduzione, una banalizzazione di ciò che prove il paziente, come se si volesse esorcizzare una fata o una strega, dicendo che è una normale ragazza come tutte le altre. Il curante deve essere molto attento a controllare gli effetti pericolosi del transfert — invidia, competizione, erotizzazione indebita, aggressività maligna — ma spesso, per fare ciò, butta via, come si dice, il bambino coll’acqua sporca e l’incontro corre il rischio di banalizzarsi e di appiattirsi.
Estratto dall’articolo di Antonello Correale su psychiatryonline.it
Continua a leggere l’articolo su Psychiatryonline
Photo by Nik Shuliahin on Unsplash
Comments are closed